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Pareva che la spedizione che aveva come obiettivo il Manhattan Limited fosse nata sotto una cattiva stella. Giordino si rodeva per la rabbia: aveva già accumulato un ritardo di quattro giorni sul tempo previsto. Dopo aver caricato in tutta fretta gli uomini e l'equipaggiamento, il battello nuovo di zecca adibito alla ricerca, il De Soto, lungo diciotto metri e progettato espressamente dagli ingegneri della NUMA per incrociare lungo le vie d'acqua interne, era finito nei gorghi, mentre risaliva il fiume controcorrente, e per poco non ne era stato travolto. Il timoniere teneva accuratamente d'occhio i gavitelli segnaletici che indicavano la rotta e i panfili che incrociavano; tuttavia a metterlo soprattutto in apprensione erano il barometro che scendeva, nonché l'acquerugiola che rigava le finestre della timoniera: promettevano entrambi una buriana coi fiocchi al calar della sera.
Dopo che si fu fatto buio, le turbinose acque del fiume incominciarono a innaffiare con i loro spruzzi il ponte di prua del De Soto. Un vento improvviso, con raffiche che andavano dai trentacinque chilometri orari fino ai cento, incominciò a fischiare giù dalle alte, ripide colline che si alzavano lungo le rive e a spingere il battello, che avanzava a tutta forza, fuori rotta.
Prima che il timoniere riuscisse a rimetterlo su quella giusta, facendo ricorso a tutta la sua forza muscolare, il battello era finito sui bassi fondali e aveva riportato una falla di sessanta centimetri sotto la prua, a sinistra, urtando probabilmente contro un tronco sommerso.
Durante le quattro ore successive, Giordino aveva imperversato contro l'equipaggio con la proverbiale mano pesante del compagno d'avventure di Cook, il comandante James Blight. Il tecnico addetto al sonar assicurò, in seguito, di essersi sentito sibilare nelle orecchie, come una sferza di cuoio, la voce implacabile dell'italiano. L'acqua entrava nella stiva a minuscoli, trascurabili rivoletti, ma lo squarcio fu tappato alla meglio soltanto dopo che l'acqua aveva invaso la sentina ed era salita sul ponte inferiore raggiungendo l'altezza di una spanna.
Il De Soto, appesantito da due tonnellate di acqua, rispondeva pigramente alle manovre. Giordino, senza darsene per vinto, ordinò di forzare i motori al massimo della potenza e la velocità impressa improvvisamente al natante sortì l'effetto di allargare la falla sino oltre la linea di galleggiamento; fu quindi giocoforza che ridiscendessero l'Hudson per raggiungere New York.
Andarono così persi due giorni, col De Soto in bacino di carenaggio per le riparazioni. Poi, non appena furono in grado di riprendere la navigazione, scoprirono che il magnetometro era difettoso e furono costretti all'immobilità per altri due giorni, in attesa che un nuovo apparecchio arrivasse da San Francisco.
Finalmente, al chiaro della luna piena, Giordino poté tirare il fiato mentre il suo battello scivolava sotto la massiccia spalla in pietra sulla quale in passato poggiava il ponte. Cacciò la testa nel finestrino della timoniera.
«Che cosa dice lo scandaglio acustico?»
Glen Chase, il taciturno e calvo comandante del De Soto, lanciò un'occhiata all'indice. «Circa sessanta metri. Direi che ci possiamo parcheggiare qui tranquillamente, fino a domani mattina.»
Calarono l'ancora e assicurarono il battello, mediante le gomene, a un albero che cresceva sulla riva e ai resti arrugginiti d'un pilastro del vecchio ponte, sporgenti dalla superficie del fiume. Spensero i motori e misero in funzione il gruppo elettrogeno ausiliario. Guardando il piedritto corroso dagli anni, Chase osservò: «Ai suoi tempi doveva essere stata un'opera imponente».
«Il quinto del mondo per lunghezza, quando venne costruito», precisò Giordino.
«Qual è stata, secondo te, la causa del crollo?»
Giordino si strinse nelle spalle. «Stando al rapporto della commissione d'inchiesta, fu impossibile assodarla con certezza. L'ipotesi più attendibile voleva che l'avessero provocato il vento violentissimo e l'azione combinata dei fulmini, indebolendo una delle travature reticolari di sostegno.»
Chase, accennando con la testa al fiume, seguitò: «Tu pensi che ci attenda là sotto?»
«Il treno?» Giordino guardò l'acqua illuminata dalla luna. «Dev'essere là, senza dubbio. Nel 1914 non riuscirono a scoprirlo perché tutta l'attrezzatura di cui disponevano allora gli uomini addetti al recupero consisteva nei caschi da palombaro, in rame, e negli ingombranti scafandri di tela, che riducevano la visibilità a zero e impedivano i movimenti, nonché in un certo numero di raffi trainati da piccoli battelli. E, per di più, oltre a essere muniti di un equipaggiamento insufficiente, lo cercarono nel punto sbagliato.»
Il comandante sollevò il berretto per grattarsi la testa. «Dovremmo saperlo per certo in un paio di giorni.»
«Anche meno, con un po' di fortuna.»
«Che ne diresti di una birra?» chiese Chase, sorridendo. «Io la bevo sempre tutte le volte che ho bisogno di dar corpo all'ottimismo.»
«Ci sto anch'io», accettò Giordino.
L'altro scomparve giù per una scaletta e si diresse verso la cambusa.
Nella saletta da pranzo gli uomini dell'equipaggio scherzavano e ridevano, mentre stavano regolando l'antenna televisiva circolare per captare i segnali di un satellite ripetitore che passava sopra di loro.
Un'improvvisa folata gelida accapponò le pelose braccia di Giordino, che per ripararsi dal vento entrò nella timoniera, dove aveva lasciato la giacca a vento. Se la stava chiudendo con la cerniera lampo quando si bloccò, tendendo l'orecchio.
In quella riapparve Chase e gli porse una lattina di birra. «Non mi sono dato la briga di portare i bicchieri.»
Giordino alzò una mano per invitarlo a fare silenzio.
«Lo senti anche tu?»
Chase corrugò la fronte. «Che cosa dovrei sentire?»
«Ascolta bene.»
Il comandante tese a sua volta l'orecchio, socchiudendo gli occhi per concentrarsi meglio. «Il fischio di un treno», disse, senza scomporsi.
«Ne sei sicuro?»
Chase annuì. «Lo sento benissimo, è il fischio d'un treno, non c'è dubbio.»
«E non ti sembra strano?»
«Strano? Che cosa ci sarebbe di strano?»
«Il fatto che le locomotive diesel hanno una sirena ad aria e che l'ultima di quelle a vapore, che fischiavano, è stata messa fuori servizio una trentina di anni fa.»
«Be', potrebbe trattarsi di un trenino per bambini, installato nel parco dei divertimenti in qualche paese lungo il fiume», replicò Chase. «Il suono si trasmette per chilometri e chilometri, se viaggia sopra l'acqua.»
«Sarà come dici tu, ma io non ci credo», insistette Giordino, facendo coppa con una mano dietro l'orecchio e muovendo la testa avanti e indietro, come un radar. «Senti? Diventa sempre più forte... più forte e più vicino.»
Chase entrò nella timoniera e ne rispuntò un attimo dopo, con una carta topografica che allargò sul parapetto del ponte e con una torcia con la quale la illuminò.
«Guarda qui», disse indicando col dito le sottili linee azzurre. «La linea ferroviaria principale passa all'interno, trentadue chilometri a sud da qui.»
«E quest'altra linea, più vicina?»
«A sedici, forse diciotto.»
«Ma la locomotiva, o il diavolo che sia, che sentiamo fischiare è distante non più di un chilometro e mezzo», dichiarò Giordino, con voce incolore.
Non aggiunse altro, concentrandosi nel tentativo di stabilirne la direzione. La luna piena rischiarava il paesaggio con una straordinaria luminosità.
Alberi isolati, lontani cinque chilometri, erano nettamente distinguibili. Il suono si stava approssimando lungo la riva sinistra, poco più a monte di loro. Non si percepiva altro rumore e le uniche luci visibili erano quelle di alcune case di contadini, piuttosto vicine.
Un nuovo fischio stridente.
Subito dopo vi si aggiunsero altri suoni. Un pesante sferragliare e l'ansito roco e ritmico di sbuffi di vapore lacerarono la notte.
Giordino aveva l'impressione d'essere sospeso a mezz'aria. Se ne stette rigido, in attesa.
«Adesso supera una curva... viene verso di noi.» Chase si schiarì la gola.
Si sarebbe detto che tentasse ancora di convincere se stesso. «Mio Dio, avanza dalle rovine del ponte.»
Fissarono entrambi gli occhi da quella parte, al colmo dello sbalordimento, col fiato mozzo, incapaci di trovare una spiegazione razionale. Tutt'a un tratto, dal buio eruppe il fragore assordante di un treno invisibile.
Giordino, obbedendo all'istinto, si chinò; Chase si sentì raggelare, bianco in faccia come uno spettro e con gli occhi che quasi gli uscivano dalle orbite.
Poi, di colpo, il silenzio... un silenzio funesto, di morte.
Nessuno dei due uomini si mosse o parlò, simili a statue di cera inchiodate sul ponte. Giordino, pian piano, si riprese e tolse la torcia dalla mano tremante di Chase, proiettandone il raggio sui resti del ponte distrutto.
Non c'era nulla da vedere, tranne la spalla in pietra mezzo rovinata e l'impenetrabile ombra notturna.